La distanza che si sente (anche se non si vede)

Scritto da 18/10/2025
la_musifavolista

La prossemica nel podcasting, Arte Oratoria e dintorni, Senti chi Legge Romance, convenevoli, focaccia e caffè ☕️

La distanza che si sente (anche se non si vede)

C’è una cosa che raramente si considera quando si allestisce la postazione per un podcast: quanto siamo vicini e come.
Non intendo “vicini” nel senso affettivo (anche se pure quello conta), ma nel senso più semplice e concreto: quanto spazio c’è tra una sedia e l’altra.

Perché sì, la distanza parla.
E nel podcast, dove l’ascoltatore non vede nulla ma immagina tutto, quella distanza si sente. E ancora in maggior misura si sente e si vede quando il podcast è anche in video.
A volte basta un tavolo troppo largo per far diventare un dialogo una conferenza.

Lo spazio ha una voce

La voce si modella sullo spazio che ha intorno.
Se siamo lontani, ci viene da alzare il tono, come per riempire il vuoto.
Se siamo vicini, la voce si abbassa, si fa più morbida, più complice.

È un riflesso naturale, non tecnico: il corpo si adatta al contesto.
Ecco perché la disposizione di microfoni, sedie e sguardi non è solo questione di estetica, ma di energia relazionale.
Un tavolo in mezzo può far sentire protetti, ma anche separati.
Una disposizione frontale mette pressione.
Un angolo leggero, tipo “a elle”, crea connessione senza invadenza.

Anche chi ascolta lo percepisce

L’ascoltatore spesso non vede dove e come siamo seduti, ma lo intuisce.
Sente se c’è intimità o distanza, se le voci si cercano o si rispondono “da lontano”.

È per questo che certi podcast sembrano subito familiari: le voci si muovono dentro uno spazio che accoglie, non che divide.
La prossemica diventa una sorta di partitura silenziosa: costruisce il clima prima ancora delle parole.

Il corpo ascolta prima della mente

Non si tratta solo di centimetri. È il modo in cui stiamo nello spazio.
Un corpo leggermente inclinato verso l’altro comunica attenzione.
Un sorriso che si vede anche senza guardarsi.
Le mani sul tavolo, non a fare da barriera ma come invito.

Quando si progetta una postazione, vale la pena chiedersi:
– vogliamo un tono intimo o più analitico?
– chi guida e chi accompagna la conversazione?
– dove vogliamo che vada l’energia?

Sono domande piccole, ma decisive.
Perché la risposta non è solo “nella voce”, è nello spazio che la voce abita.

Una regia invisibile

Un’intervista ben riuscita non dipende solo da chi parla bene, ma anche da chi ha pensato bene lo spazio.
La prossemica è come una regia invisibile: prepara la scena, poi sparisce, lasciando che la conversazione fluisca.

Troppa vicinanza e l’atmosfera si fa invadente.
Troppa distanza e il dialogo perde calore.
La misura giusta è quella in cui le voci respirano insieme.

Un buon test?
Durante le prove, ascolta il ritmo delle risate, delle pause, delle sovrapposizioni.
Se tutto scorre, sei nel punto giusto.

Curare la distanza è un atto d’ascolto

Pensare alla prossemica è un modo per prendersi cura dell’ascolto.
Significa creare le condizioni perché chi parla si senta a suo agio e chi ascolta percepisca autenticità.

Nel podcast, dove il canale principale è la voce, la qualità della relazione è il contenuto.
E la distanza – quella giusta, non quella ideale – è il suo primo messaggio.

Forse, la prossima volta che accendi il microfono, prima ancora di dire “benvenuti”, prova a chiederti:

“Dove sono seduto, rispetto all’altro?”

Perché la prossemica non si vede, ma si sente.
E spesso è la parte più umana del suono.

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